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Il clima nella foresta tropicale

Scopri come pioggia, umidità e microclimi modellano il sottobosco tropicale.

Un viaggio nel clima nascosto delle foreste tropicali: pioggia, umidità, nebbie e condense raccontate attraverso le strategie di sopravvivenza delle piante del sottobosco.

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Il clima nascosto della foresta tropicale


Quando si pensa alla foresta pluviale tropicale, l’immaginario collettivo si riempie di colori vividi, piogge incessanti e un’esuberanza vegetale quasi incontrollata. Eppure, dietro questa apparenza lussureggiante, si nasconde un sistema climatico estremamente complesso, fatto di stratificazioni verticali, dinamiche atmosferiche locali e microsistemi stabili ma delicati.


Nel sottobosco, a pochi metri dal suolo, si vive un clima del tutto diverso da quello percepito nella chioma o negli spazi aperti. Luce, vento, umidità, temperatura e pioggia cambiano radicalmente lungo la colonna verticale della foresta, dando forma a una moltitudine di ambienti in miniatura che coesistono nel medesimo ecosistema.


Comprendere il clima della foresta tropicale significa andare oltre la media annuale delle precipitazioni o l’umidità elevata: significa leggere le regole invisibili che condizionano la morfologia, il metabolismo e la sopravvivenza delle piante, in particolare di quelle che vivono all’ombra, nel cuore più quieto e umido della foresta.

Il botanico Patrick Blanc ci guida in un'esplorazione delle foreste muschiose del Monte Kinabalu, nel cuore del Borneo. Tra i 500 e i 1500 metri di altitudine, questo straordinario habitat ospita oltre 15.000 specie vegetali, rendendolo uno dei più importanti hotspot di biodiversità al mondo. Un’immersione visiva tra felci, epifite e alberi antichissimi, che rivela l'intimità e la complessità della foresta tropicale asiatica.

Un clima stratificato: la foresta non è uguale ovunque


La foresta tropicale non è un ambiente omogeneo. Ogni strato verticale – dalla chioma emergente, fino al suolo – presenta condizioni climatiche proprie, con gradienti di luce, vento, umidità e temperatura estremamente marcati. Questa stratificazione influenza non solo la distribuzione delle specie vegetali, ma anche la loro forma, le funzioni fisiologiche e le strategie evolutive.

Nella parte superiore, la chioma degli alberi emergentiè esposta a radiazioni solari intense, vento costante e forti escursioni termiche. Qui le piante devono essere robuste, resistenti alla disidratazione e in grado di sfruttare al massimo la luce diretta.


Scendendo verso il basso, nella media chioma e nelle zone inferiori, la luce si attenua drasticamente, il vento cala e la temperatura si stabilizza. Le piante epifite, liane e le emiepifite si distribuiscono strategicamente tra tronchi e rami, approfittando di aperture nella copertura per catturare luce e umidità, ma anche per evitare il contatto con il suolo saturo.


Nel sottobosco, la situazione cambia radicalmente. Qui regna la quiete climatica: l’aria è immobile, la luce ridotta all’1–2% di quella incidente, l’umidità costantemente elevata. Il suolo stesso, ricoperto da detriti vegetali in lenta decomposizione, contribuisce a stabilizzare le condizioni termiche e igrometriche. 


Questo ambiente favorisce strategie conservative: crescita lenta, foglie persistenti, metabolismo ottimizzato per la scarsità.

Ma non è solo una questione verticale. Anche orizzontalmente, da un versante a un altro, o tra una radura e una zona densa, si verificano microvariazioni climatiche significative. Un pendio esposto o una zona vicina a un ruscello presentano condizioni differenti rispetto a un’area racchiusa nella foresta primaria.


Questa mosaico climatico interno alla foresta è ciò che permette la straordinaria biodiversità tropicale: ogni pianta, muschio o felce si adatta a una nicchia microclimatica specifica, e spesso non può sopravvivere fuori da essa.

Ward nella sua serra  aprepare casse
Terrarium di varie dimensioni

Nel sottobosco tropicale, il vento è quasi assente. Protetto dalla massa vegetale soprastante, l’aria è stagnante, priva di correnti significative, e raramente subisce variazioni brusche. Questa assenza di vento è uno degli aspetti più distintivi e meno considerati del microclima forestale, e ha conseguenze profonde sulla morfologia e sul comportamento delle piante.


Da un lato, l’immobilità dell’aria genera un ambiente stabile, privo di stress meccanico. Le piante non devono resistere a raffiche né sostenere carichi dinamici: ciò permette lo sviluppo di fusti più sottili, foglie più grandi e strutture più leggere, spesso con tessuti poco lignificati. È anche per questo che molte piante erbacee o arbusti del sottobosco riescono a raggiungere altezze notevoli (fino a 3–4 metri) pur avendo una struttura apparentemente fragile.


Dall’altro lato, questa stessa stabilità rappresenta un fattore di vulnerabilità. Le piante cresciute senza vento tendono ad avere un equilibrio biomeccanico precario: i loro tessuti non si sono rafforzati contro le sollecitazioni. Basta quindi uno schianto, una caduta, o un’esposizione improvvisa in seguito alla morte di una pianta vicina, per causare danni strutturali. Anche un aumento temporaneo della circolazione d’aria può compromettere la stabilità di fusti e foglie.


Il vento è anche un regolatore della traspirazione e della temperatura fogliare. In sua assenza, l’umidità si accumula sulle superfici, creando condizioni favorevoli alla proliferazione di muffe, funghi e batteri. Per contro, l'evaporazione è minima, il che aiuta a mantenere costante l’umidità ambientale – un fattore chiave per la sopravvivenza delle epifite e delle piante con apparati radicali superficiali.


Un altro effetto indiretto dell’assenza di vento è il gigantismo fogliare. Le foglie delle piante da sottobosco possono superare facilmente i 50 cm di lunghezza, con superfici laminari estremamente ampie. Questo è possibile proprio perché non devono resistere a forze aerodinamiche. In ambienti aperti o ventilati, queste stesse piante svilupperebbero foglie più piccole, carnose o coriacee, come forma di difesa.


Infine, bisogna ricordare che la mancanza di vento riduce anche la dispersione di semi e pollini. Per questo molte piante tropicali del sottobosco si affidano a strategie di propagazione vegetativa, impollinatori specializzati o dispersione per gravità. È un equilibrio fragile ma perfettamente adattato alla stabilità climatica dell’ombra.

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Diossido di carbonio: concentrazioni elevate e fotosintesi potenziata


Nel sottobosco tropicale, dove la luce è scarsa e il vento assente, la concentrazione di anidride carbonica (CO₂) tende ad aumentare rispetto agli strati superiori della foresta. Questo fenomeno, apparentemente secondario, ha in realtà impatti diretti sulla fisiologia delle piantee sulla loro capacità fotosintetica.


La CO₂ nel sottobosco proviene da più fonti: la respirazione delle radici, dei microrganismi del suolo, della fauna, e la decomposizione della lettiera organica. In un ambiente statico e poco ventilato, questi gas tendono ad accumularsi, portando la concentrazione di CO₂ a livelli significativamente superiori rispetto all’atmosfera esterna.


Questa ricchezza di anidride carbonica può diventare un vantaggio per molte specie vegetali: in condizioni di bassa luminosità, una maggiore disponibilità di CO₂ migliora il rendimento della fotosintesi. Le foglie delle piante da ombra, infatti, sono progettate per lavorare con intensità luminosa ridotta, ma possono reagire in modo molto efficiente se il substrato carbonioso è abbondante. 


La carboxilazione della CO₂– primo passo della fotosintesi – diventa più rapida e stabile, anche se il bilancio energetico resta comunque contenuto.

Uno degli strumenti più affascinanti per analizzare questi processi è il rapporto isotopico ¹³C/¹²C. Le piante che vivono in ambienti ricchi di CO₂ mostrano valori isotopici diversi da quelle esposte a condizioni più ventilate. Questo perché la maggiore disponibilità di carbonio porta a un frazionamento isotopico più marcato, registrabile nella composizione chimica dei tessuti vegetali. 


Analisi di questo tipo permettono di ricostruire le condizioni ambientali in cui la pianta è cresciuta, fornendo un'impronta ecologica leggibile nel tempo.

Tuttavia, non tutte le specie reagiscono allo stesso modo. Alcune, come le piante CAM o le epifite xerofile, non traggono particolare vantaggio da un ambiente ricco di CO₂ se non è accompagnato da adeguata illuminazione. 


Al contrario, molte piante erbacee del sottobosco, con metabolismo fotosintetico C3 e foglie a basso spessore, ottimizzano la combinazione luce/CO₂ con grande efficacia.


In sintesi, l’aumento della CO₂ nel sottobosco non è solo un effetto collaterale del microclima, ma una variabile chiave che influenza l’ecologia delle piante tropicali. Un elemento invisibile, ma fondamentale, nel delicato equilibrio tra ombra, umidità e produttività primaria.

Lo sapevi che nella foresta piove... anche senza pioggia


Nelle foreste tropicali, non serve un temporale per bagnare le piante: l'umidità dell’aria si condensa sulle superfici e cade come una pioggerellina silenziosa. Questo fenomeno può rappresentare fino al 40% dell’acqua disponibile per muschi, felci ed epifite del sottobosco.

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Serre di Ward in un orto botanico in Kenia

La foresta tropicale è spesso descritta come un luogo di piogge abbondanti e continue, ma la realtà ecologica della precipitazioneè molto più complessa, soprattutto se si osserva da vicino ciò che accade nel sottobosco. Qui, non tutta la pioggia raggiunge il suolo, e non tutte le piante ricevono la stessa quantità d'acqua, nonostante il clima umido.


Quando piove, una parte significativa dell’acqua viene intercettata dalla chioma superiore. Solo una parte di quella pioggia filtra verso il basso attraverso due processi distinti: il throughfall, ovvero l’acqua che gocciola tra le foglie, e lo stemflow, ovvero l’acqua che scivola lungo i tronchi. Questo significa che la distribuzione della pioggia al suolo è disomogenea: le piante posizionate vicino ai fusti possono ricevere più acqua rispetto a quelle lontane, anche se solo di pochi metri.


Inoltre, la pioggia che arriva al sottobosco non è semplice acqua meteorica. Durante il suo passaggio tra le foglie, i rami e le epifite, l’acqua si arricchisce di particelle organiche, polveri minerali, batteri, residui fogliari e metaboliti secondari, diventando una soluzione ricca di nutrienti. Questo fenomeno favorisce lo sviluppo della flora epifilla, ovvero microorganismi, alghe, licheni e piccole felci che vivono direttamente sulle superfici fogliari. Le foglie, in questo contesto, diventano non solo organi di fotosintesi, ma anche ecosistemi a sé stanti.


Un altro elemento che rende la pioggia tropicale particolare è la sua intermittenza stagionale e oraria. Nelle ore centrali della giornata, soprattutto nelle stagioni più secche, l’attività fotosintetica e la traspirazione aumentano, ma l'acqua disponibile può diminuire proprio quando servirebbe di più. 


Questo genera una sfasatura tra disponibilità idrica e richiesta metabolica, che le piante del sottobosco devono compensare con strategie morfofisiologiche precise: foglie a cuticola spessa, capacità di accumulo, stomatizzazione selettiva e uso dell'umidità atmosferica.

Infine, va ricordato che nel sottobosco non piove soltanto dal cielo: molte piante sfruttano l'acqua di condensazione, la rugiada e l'umidità atmosfericache si accumula sulle superfici vegetali durante la notte o nelle ore più fresche. 


Alcune epifite e muschi sono in grado di assorbire direttamente questa acqua attraverso le foglie o radici aeree, riducendo la dipendenza dalle precipitazioni.

Il risultato è un paradosso affascinante: la foresta è bagnata, ma non tutte le piante ricevono acqua in modo regolare


La sopravvivenza, nel sottobosco, non dipende dalla quantità assoluta di pioggia, ma dalla capacità di intercettarla, trattenerla, e sfruttarla nel momento giusto.

Il Cristal Palace della prima esposizione universale, dall'interno

L’umidità atmosferica: saturazione e microclimi stabili


Se la pioggia è un evento, l’umidità atmosferica è una condizione continua. Nel sottobosco tropicale, l’umidità relativa dell’aria è tra i fattori più stabili e importantiper l’equilibrio dell’intero ecosistema. In molte foreste pluviali, l’umidità si mantiene costantemente tra il 90% e il 100%, soprattutto nelle ore notturne o nei giorni coperti. 


Questo livello di saturazione è tale che persino la traspirazione fogliare rallenta, permettendo a molte piante di ridurre drasticamente la perdita d’acqua.

L’elevata umidità è il risultato di diversi fattori combinati: l’assenza di vento, l’evaporazione limitata, la presenza costante di vegetazione traspirantee il rilascio di vapore acqueo da parte del suolo e della lettiera organica


Le superfici bagnate, come le foglie, i tronchi o le rocce coperte di muschi, agiscono da serbatoi di umidità, rilasciandola lentamente nell’aria. In assenza di correnti convettive, l’umidità resta intrappolata negli strati più bassi, creando una sorta di cappa igroscopica naturale.


Questa condizione è fondamentale per le epifite, i muschi, le piante vascolari di piccole dimensioni e molti organismi del suolo, che non hanno accesso diretto all’acqua nel terrenoma assorbono umidità direttamente dall’aria o dalla rugiada. Alcune piante possiedono tricomi assorbenti, cuticole idrofile o radici aeree specializzateproprio per catturare l’umidità atmosferica in sospensione.


Tuttavia, l’umidità non è del tutto costante. Durante il giorno, con il riscaldamento dell’ambiente, l’umidità può calare anche di 15–20 punti percentuali. La notte, invece, si ha una risalita grazie alla condensazionee al calo termico. Queste oscillazioni, seppur contenute, determinano ritmi fisiologici precisi: apertura e chiusura degli stomi, movimenti fogliari, fioriture sincronizzate, assorbimento fogliare o radicale.


L’umidità ha anche un ruolo nel mantenimento della biodiversità microbica: molti funghi simbionti, cianobatteri e batteri endofiti prosperano solo in condizioni di saturazione atmosferica costante. In mancanza di essa, intere microcomunità vegetali e microbiotiche collasserebbero, alterando profondamente l’equilibrio dell’ecosistema.


Infine, in alcune foreste montane o nebbiose (cloud forests), l’umidità atmosferica è la principale fonte d’acqua, più ancora della pioggia. Qui l’umidità proviene direttamente dalla condensazione delle nebbie sulle superfici vegetali. Le piante si sono adattate a questa condizione estrema sviluppando forme compatte, superfici fogliari idrofile e tassi di traspirazione quasi nulli.


L’umidità del sottobosco non è solo un effetto secondario del clima tropicale, ma una risorsa primaria costante, invisibile ma vitale, che condiziona la struttura, la composizione e la funzionalità di ogni organismo vivente nel cuore della foresta.

Illustrazione serra di Ward in una casa
Serra di Ward in stile vittoriano
Tre tipologie di serre in un illustrazione
disegno di un prototipo di serra di Ward

Effetti dell’altitudine sul microclima 


Nelle regioni tropicali, l’altitudine gioca un ruolo fondamentale nella definizione dei microclimi forestali. Salendo anche di poche centinaia di metri, temperatura, umidità, radiazione solare, composizione dell’aria e ventilazionecambiano sensibilmente, trasformando gradualmente la foresta di bassa quota in un ecosistema completamente diverso.


La regola generale è semplice: per ogni 100 metri di dislivello si perdono circa 0,6 °C di temperatura media annuale. Questo raffreddamento progressivo, combinato con l’aumento dell’umidità relativa e con una maggiore frequenza di nebbie e piogge orografiche, dà vita alle cosiddette foreste tropicali montane o “cloud forests”, le foreste di nuvole.


In questi ambienti, la radiazione solare è più bassa e più diffusaa causa della copertura persistente di nubi e nebbie. Ciò crea condizioni ideali per specie adattate alla scarsa luce e all’elevata umidità: felci arborescenti, bromeliacee, muschi epifiti e piante da sottobosco altamente specializzatedominano il paesaggio.


L’escursione termica giornalieradiventa più marcata rispetto alle foreste di pianura. Le notti possono essere fresche o fredde anche ai tropici, e molte piante devono sopportare temperature minime intorno ai 5–10 °C. Questo pone un limite altitudinale alla distribuzione delle specie del sottobosco, molte delle quali non riescono ad adattarsi a temperature notturne troppo basse o a fotoperiodi alterati.


Un altro elemento fondamentale è la stratificazione verticale più compatta: nelle foreste montane, gli alberi sono più bassi, i tronchi più sottili, le chiome meno espanse. Questo significa che le differenze microclimatiche tra chioma e suolo sono meno estreme, ma il sottobosco resta comunque un ambiente umido, ombroso e poco ventilato, dominato da specie con strategie conservative.

Infine, l’altitudine modifica anche la distribuzione delle precipitazioni


In molti casi, le foreste tra i 1.000 e i 2.500 metri ricevono più pioggia rispetto a quelle di pianura, ma sotto forma di condensazione orizzontale (nebbia) piuttosto che precipitazioni dirette. Questo influenza la struttura della vegetazione, favorendo specie che sanno intercettare e trattenere l’acqua dell’aria più che assorbirla dal suolo.

L’altitudine tropicale non è solo un fattore geografico, ma un vero e proprio motore ecologico. Plasmando temperatura, luce e umidità, determina chi può vivere, crescere e riprodursi nel sottobosco, e contribuisce alla straordinaria diversità delle foreste equatoriali di montagna.

Terrari moderni a forma di case
diverse tipologie di terrarium

Cosa rende una pianta “da sottobosco”?

 

Stabilire con precisione cosa definisce una pianta da sottobosco richiede un criterio funzionale. Non basta sapere dove cresce, ma come vive. Un elemento chiave è il fatto che l’intero ciclo di vita della pianta avvenga sotto i 2–3 metri di altezza, incluse le fasi di fioritura e riproduzione.

 

Ad esempio, una palma che fiorisce a 1 metroe cresce fino a 8 metri può ancora essere considerata una specie del sottobosco, poiché la sua sessualità si manifesta vicino al suolo, anche se poi può raggiungere dimensioni maggiori.

 

Un caso emblematico è quello delle ninfee tropicali. Nei ruscelli ombrosi del sottobosco, alcune specie si propagano vegetativamente attraverso stoloni, formando tappeti densiperfettamente adattati al microclima forestale. Tuttavia, in queste condizioni, non sviluppano foglie galleggianti né fiori: rimangono in una forma “vegetativa permanente”, stabile ma non riproduttiva.

 

Solo quando crescono in zone più luminose, come stagni o corsi d’acqua aperti, le stesse piante possono espandersi, produrre grandi foglie galleggianti e fioriture sessuate. Questo dimostra che una stessa specie può esistere in due stati stabili, uno adattato all’ombra e l’altro alla luce. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, le piante da sottobosco completano l’intero ciclo vitale nella penombra, senza mai uscire da essa.

 

In questo senso, essere “da sottobosco” non è una condizione momentanea, ma un modo di esistere definito ecologicamente e morfologicamente, modellato dalla luce, dall’umidità, dalla struttura del terreno e dalla pazienza di adattarsi all’attesa.

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🌿 Erbe o arbusti? Una differenza sottile (e spesso invisibile)

Nel contesto del sottobosco tropicale, la distinzione tra erba e arbusto non è affatto semplice. L’unico vero criterio discriminante è anatomico, e riguarda la lignificazione del fusto: ovvero la produzione e il deposito di lignina, una sostanza che conferisce rigidità e resistenza meccanica alle pareti cellulari.

Negli arbusti, la lignina si organizza in fibre, aiuole o anelli continui di tessuto legnoso, rendendo il fusto solido e capace di resistere al vento o al peso proprio. Ma nel sottobosco, dove l’aria è immobile e il vento è pressoché assente, anche una pianta alta diversi metri può restare eretta senza lignificazione, semplicemente grazie al turgore idrico dei tessuti. L’acqua che riempie le cellule fornisce la rigidità necessaria per mantenere la posizione verticale.

Per questo motivo, nel sottobosco la distinzione tra erba e arbusto tende a sfumare, e spesso non ha grande valore funzionale. In un ambiente dove il problema meccanico è minimo, non servono tessuti legnosi per reggersi, e la selezione evolutiva ha privilegiato strutture leggere, modulari e facilmente rinnovabili.

Ward nella sua serra  aprepare casse

🌿 Lo sapevi che…

Nel sottobosco tropicale possono esserci fino a 4000 piante in 1000 m²?
Mentre la chioma degli alberi è relativamente uniforme, il sottobosco ospita una biodiversità esplosiva. In aree umide e luminose, la densità vegetale può superare i 3000–4000 individui ogni 1000 m², contro i 5–7 grandi alberi nello stesso spazio.

 

Il rinnovo del fogliame: efficienza, non espansione

 

Una delle caratteristiche più peculiari delle piante da sottobosco è la loro strategia fogliare conservativa: per ogni foglia nuova che compare, una foglia vecchia cade. Il bilancio rimane stabile, e l’area fotosintetica della pianta non aumenta, ma si rinnova costantemente.

Questa strategia è l’opposto di quella degli alberi della chioma, che durante la loro vita aumentano progressivamente la superficie fogliare grazie alla crescita secondaria del fusto (attività cambiale) e alla formazione continua di nuovi rami. Nei grandi alberi, l’accrescimento fogliare è massimo nella fase giovanile, mentre invecchiando si riduce e viene compensato da una “potatura naturale”: la perdita dei rami più vecchi supera la nascita di nuovi.

 

Nel sottobosco, invece, la mancanza di lignificazione impedisce l’ispessimento dei fusti e la formazione di rami secondari. Tuttavia, alcune specie hanno trovato soluzioni alternative: diventano rampicanti o striscianti, e sviluppano nuove radici vicino alle foglie emergenti, garantendo a ogni segmento di fusto l’accesso indipendente a risorse idriche e minerali.

In pratica, ogni tratto di fusto diventa un individuo autosufficiente. Anche in caso di rottura del fusto principale, le parti staccate continuano a vivere e crescere autonomamente. È un modello vegetale decentralizzato, modulare, resiliente.

♻️ Eternamente giovani: la longevità senza tronco

 

Alcune piante del sottobosco adottano una strategia ancora più estrema: si rinnovano dalla base all’infinito, emettendo continuamente nuovi fusti. Ogni nuovo getto mette radici proprie, diventando parzialmente o totalmente indipendente. Il risultato è una pianta cespugliosa, in perenne stato di rinnovamento.

Questa modalità vegetativa le rende, almeno teoricamente, potenzialmente immortali: non esiste un singolo “tronco” la cui morte determina la fine della pianta, come accade invece per un albero.

 

A differenza di una sequoia che può vivere anche 4.000 anni ma che ha un ciclo vitale lineare, queste piante funzionano per cloni successivi, rigenerandosi continuamente, senza invecchiare.

La loro scomparsa avviene solo in seguito a cambiamenti ambientali drammatici, su scala climatica o geologica: lunghi periodi di siccità, trasformazione dell’ecosistema (es. da foresta umida a foresta decidua, o da foresta a savana), eventi eccezionali come incendi o disboscamenti massicci.

 

Questo tipo di adattamento ci mostra che nel sottobosco non vince chi cresce di più, ma chi rimane adattabile, flessibile, rigenerabile. È la longevità come resistenza, non come grandezza.

Cosa rappresentano le piante del sottobosco? Dimensioni, densità e dinamiche ecologiche

Contrasto tra chioma e sottobosco: uniformità contro diversità

Se confrontiamo lo strato della chioma degli alberi più alti con quello delle piante del sottobosco, il divario in termini di variabilità morfologica è impressionante. Nella chioma, le dimensioni delle corone sono relativamente omogenee: si va dai 5 ai 10 metri di diametro, fino ai 20 metri per specie giganti come le Mimosaceae, indipendentemente dal microambiente.

Nel sottobosco, invece, regna la diversità estrema. Le piante si adattano a pendii, pareti inclinate, tronchi caduti, rocce, anfratti, dando vita a una variabilità morfologica notevole, legata più al substrato e all’umidità che alla specie.

Anche in termini di densità, il confronto è eloquente.

 

In una porzione di 1000 m² di foresta tropicale:

  • Si possono trovare 5–7 alberi con diametro >40 cm

  • Circa 50 alberi con diametro di 10 cm

  • E fino a 250 piccoli alberi

 

Nel sottobosco, invece, non esiste una regolarità simile. In zone favorevoli (come versanti umidi), si possono contare anche 3000–4000 individui per 1000 m². In altri casi, un solo individuo può ricoprire da solo 10 m², estendendosi vegetativamente. Le densità più elevate si registrano nei pressi di alberi giovani, che lasciano filtrare più luce.

 

Densità estrema e movimento fogliare: le reofite

Esistono biotopi dove la densità vegetale raggiunge limiti estremi, come nei corsi d’acqua con forte corrente. Qui crescono le piante reofite, capaci di vivere in ambienti saturi di umidità e soggetti a flussi d’acqua continui.

In questi ambienti, si possono registrare fino a 500 individui per metro quadro. Le foglie, immerse nell’acqua o mosse dalla corrente, si espongono in modo dinamico alla luce, aumentando di fatto la superficie fotosintetica effettiva rispetto a quella proiettata al suolo. Questo movimento continuo permette a queste specie di raggiungere altissimi livelli di produttività per superficie occupata.

Terrarium di varie dimensioni
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Il viaggio nella giungla continua...

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