La Monstera variegata
Tutte le varietà di Monstera variegata: nomi, differenze, rarità e consigli.





Introduzione alle tante monstere variegate
La Monstera, pianta tropicale appartenente alla famiglia delle Araceae, è da tempo protagonista indiscussa tra le specie ornamentali da interno. Negli ultimi anni, l’interesse verso le sue forme variegate ha raggiunto livelli straordinari, alimentato sia dalla bellezza delle sue foglie screziate sia dalla crescente diffusione di cultivar rare, instabili o frutto di selezioni mirate.
Nel linguaggio botanico, la variegatura indica un’anomalia genetica (spesso settoriale, a mosaico o chimerica) che determina l’assenza o la riduzione di clorofilla in alcune parti della foglia. Questo fenomeno si traduce visivamente in macchie, striature o interi settori bianchi, crema, gialli o verde chiaro. In alcune varietà si tratta di mutazioni spontanee, in altre di linee orticole stabilizzate attraverso la micropropagazione.
Questo articolo esplora in modo sistematico le principali variegature presenti nel genere Monstera, con attenzione non solo alle cultivar più diffuse, ma anche alle nuove varietà emergenti, alle mutazioni instabili e alle difficoltà nella loro classificazione. Un contributo per appassionati, collezionisti e professionisti del settore che desiderano approfondire con rigore scientifico, ma linguaggio accessibile, un tema tanto affascinante quanto complesso.
Il botanico Patrick Blanc ci guida in un'esplorazione delle foreste muschiose del Monte Kinabalu, nel cuore del Borneo. Tra i 500 e i 1500 metri di altitudine, questo straordinario habitat ospita oltre 15.000 specie vegetali, rendendolo uno dei più importanti hotspot di biodiversità al mondo. Un’immersione visiva tra felci, epifite e alberi antichissimi, che rivela l'intimità e la complessità della foresta tropicale asiatica.
Le variegature come strategia di difesa:
simulare una pianta malata per non essere mangiata
Sebbene la variegatura riduca la capacità fotosintetica delle foglie, in alcuni contesti naturali può avere un valore difensivo indiretto. Alcune piante sembrano sfruttare variegature o pattern irregolari per simulare uno stato di malattia o di danneggiamento.
Questa illusione ottica potrebbe scoraggiare l’attacco da parte di erbivori o insetti fitofagi, che tendono a evitare piante dall’aspetto compromesso.
Questa teoria, nota come "mimetismo da difetto", è stata oggetto di diversi studi, in particolare nel caso delle piante con macchie irregolari o pigmentazioni atipiche. L’ipotesi è che l’aspetto non uniforme venga interpretato dagli insetti come segnale di scarsa vitalità, scarsa qualità nutrizionale o presenza di parassiti.
Alcuni punti chiave di questa strategia ecologica:
Evitare l’attenzione: le foglie variegate possono confondere insetti come afidi, tripidi o coleotteri, che preferiscono tessuti verdi uniformi.
Simulare infezioni o stress: striature giallastre o chiare possono somigliare a sintomi di virus, morsi o clorosi.
Effetto ottico deterrente: in alcuni casi, i bordi irregolari della variegatura rendono difficile per i predatori localizzare i punti ideali per il pasto o per la deposizione delle uova.
È importante sottolineare che questa non è una regola evolutiva universale, ma una possibile coevoluzione adattativa, più probabile in ambienti dove la pressione dei predatori è alta e la concorrenza vegetale è relativamente bassa.
Nota scientifica di approfondimento
Uno studio condotto nel 2009 presso l’Università di Kyoto ha osservato che alcune piante tropicali del genere Begonia e Aglaonema mostrano pattern fogliari irregolari che mimano i danni da virus o l’azione di fitofagi. Gli autori hanno ipotizzato che queste colorazioni abbiano una funzione deterrente verso gli insetti, analogamente a come certi animali utilizzano il mimetismo difensivo.
Fonte: Lev-Yadun S., Inbar M. (2002). Defensive coloration in plants: a review of current ideas and evidence. In Botanical Review, 68(3), 375-392.
Le variegature in natura: un'anomalia tollerata, non un vantaggio evolutivo
La variegatura fogliare è un fenomeno che colpisce molte specie vegetali, ma rappresenta un’eccezione piuttosto che una regola. In natura, infatti, le piante variegate sono rare, e sopravvivono soltanto in condizioni ambientali molto specifiche. La causa principale di queste colorazioni insolite è la mancanza parziale o totale di clorofilla in alcune cellule fogliari. Ma perché una pianta dovrebbe "scegliere" di produrre meno clorofilla?
Una mutazione tollerata, non selezionata
Dal punto di vista evolutivo, le variegature non rappresentano un vantaggio, anzi: riducono la superficie attiva per la fotosintesi e compromettono l'efficienza energetica della pianta. Tuttavia, in ambienti ombreggiati e stabili, come il sottobosco delle foreste tropicali, alcune variegature possono persistere senza compromettere gravemente la sopravvivenza della pianta.
Spesso si tratta di mutazioni spontanee che non vengono eliminate dalla selezione naturale semplicemente perché non letali. In altri casi, la variegatura può derivare da instabilità genetiche, dovute alla riproduzione vegetativa o all’attivazione di retrotrasposoni nel DNA.
Il compromesso con la luce
Le foglie variegate hanno una minore capacità fotosintetica, ma in alcuni casi mostrano pattern che riflettono la luce o che simulano danni, malattie o predazioni precedenti. Alcune teorie ecologiche ipotizzano che questi pattern possano agire da deterrente visivo per insetti o erbivori, inducendo una preferenza per altre piante più “sane” all'apparenza.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, si tratta di effetti collaterali non adattativi. Le piante variegate crescono più lentamente, accumulano meno risorse e sono generalmente più sensibili agli stress ambientali rispetto alle loro controparti completamente verdi.
Variegature spontanee: quando la natura si sbilancia
In alcuni casi, le variegature possono comparire casualmente su una singola foglia o porzione di fusto: si tratta delle cosiddette mutazioni “sport”. Se la mutazione coinvolge cellule meristematiche (cioè cellule capaci di generare nuovi tessuti), la variegatura può essere trasmessa vegetativamente, dando origine a una nuova pianta variegata.
Molte delle varietà più desiderate oggi in commercio, come la Monstera 'Albo' o la Thai Constellation, nascono proprio da queste anomalie spontanee, successivamente selezionate e stabilizzate in laboratorio tramite tecniche di micropropagazione o coltura in vitro.


Nel contesto della propagazione vegetativa e dell’orticoltura tropicale, la distinzione tra variegature stabili e variegature instabili ha implicazioni fondamentali sia per la conservazione delle cultivar sia per la loro riproduzione. La stabilità di una variegatura dipende da fattori genetici, fisiologici e tecnici, come il tipo di mutazione che l’ha originata e il metodo di propagazione impiegato.
Variegature stabili
Una variegatura si definisce “stabile” quando il pattern cromatico si mantiene costante e prevedibile nel tempo e nelle nuove generazioni propagate vegetativamente. Queste piante derivano generalmente da linee selezionate e moltiplicate in vitro.
Caratteristiche: Origine genetica chiara e replicabile.Presenza di cellule variegate nei tre strati meristematici (L1, L2, L3).
Propagazione tramite micropropagazione o coltura meristematica.
Pattern omogenei e ripetibili.
Esempi: Monstera ‘Thai Constellation’: ottenuta tramite ingegneria tissutale, presenta variegature crema su base verde, con pattern marmorizzati piuttosto costanti.
Alcune linee di Monstera ‘Mint’ selezionate e riprodotte in laboratorio.
Vantaggi: Affidabilità nella coltivazione e nella vendita.
Bassa regressione del pattern nel tempo.
Maggiore adattabilità alle pratiche colturali.
Variegature instabili
Le variegature instabili sono il risultato di mutazioni somatiche spontanee (sport) che interessano solo alcuni tessuti o porzioni cellulari.
Queste mutazioni possono non essere presenti in tutti i livelli meristematici, il che comporta una trasmissibilità incerta della variegatura nelle talee o nelle nuove crescite.
Caratteristiche: Origine spontanea, non controllata.
Pattern irregolari, asimmetrici o mutevoli da foglia a foglia.
Rischio di regressione (perdita della variegatura) o di dominanza bianca (assenza di clorofilla).
Propagazione per talea tradizionale.
Esempi:
Monstera deliciosa ‘Albo-Variegata’: presenta ampie variazioni tra gli esemplari e alta imprevedibilità nella propagazione.
Monstera sport variegated: mutazioni casuali, spesso non riproducibili.
Limiti:
Maggiore rischio di instabilità vegetativa.
Crescita più lenta o irregolare.
Necessità di selezionare talee con il giusto equilibrio tra tessuto verde e variegato.
Implicazioni pratiche
Per il collezionista o il coltivatore, riconoscere la natura stabile o instabile di una variegatura è cruciale per gestire:
Le aspettative estetiche (le variegature possono cambiare nel tempo).
Le tecniche di potatura e propagazione (tagliare sotto un nodo verde può far perdere la variegatura).
Il valore economico della pianta (le variegature stabili sono in genere più costose e meno rischiose).
Nel contesto della propagazione vegetativa e dell’orticoltura tropicale, la distinzione tra variegature stabili e variegature instabili ha implicazioni fondamentali sia per la conservazione delle cultivar sia per la loro riproduzione. La stabilità di una variegatura dipende da fattori genetici, fisiologici e tecnici, come il tipo di mutazione che l’ha originata e il metodo di propagazione impiegato.

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La propagazione delle variegature instabili
Le varietà di Monstera con variegatura instabile, come la ‘Albo’ o le forme “sport”, non garantiscono la trasmissione uniforme del pattern durante la propagazione. La variegatura in questi casi deriva da mutazioni non presenti in tutte le linee cellulari della pianta (ad esempio solo nel meristema L1 o L2), e pertanto può regredire o mutare nelle nuove crescite.
Aspetti da considerare nella propagazione:
1. Selezione del nodo
È fondamentale che il nodo da cui si effettua la talea presenti visibilmente tessuti variegati. Se il nodo è completamente verde, esiste un’alta probabilità che la nuova crescita non mostri alcuna variegatura.
2. Bilanciamento clorofilliano
Una talea costituita quasi interamente da tessuto privo di clorofilla (bianco puro) è a rischio di necrosi: non sarà in grado di produrre sufficiente energia per radicare e svilupparsi.
Il miglior equilibrio si ottiene con talee che mostrano variegatura mista, cioè porzioni sia verdi sia variegate nella stessa foglia o nello stesso picciolo.
3. Rischio di regressione
Alcune piante, se potate in punti errati o sottoposte a stress, possono regredire completamente al fenotipo verde, perdendo la variegatura. Questo fenomeno è noto come reversion.
4. Mutazioni post-talea
In alcuni casi, la pianta madre può continuare a produrre foglie variegate anche dopo il taglio, mentre la talea genera solo foglie verdi. È quindi importante osservare entrambe le porzioni dopo la divisione.
5. Luce e stimoli ambientali
Anche se la variegatura è determinata geneticamente, fattori ambientali (intensità luminosa, temperatura, umidità) possono influenzarne l’espressione fenotipica, accentuandola o riducendola nel tempo.
Questa instabilità fa parte del fascino — ma anche della sfida — nel coltivare Monstera variegate non stabilizzate. Il collezionista deve agire con attenzione e consapevolezza, monitorando ogni nuova crescita per cogliere segni di regressione o mutazione.
🍃 Curiosità botanica
Le foglie prive di clorofilla, sebbene bellissime, non contribuiscono alla fotosintesi. È per questo che molte piante variegate devono mantenere almeno una parte verde per sopravvivere.


L’universo delle Monstera variegate è in continua espansione, alimentato dalla selezione vivaistica, dalle mutazioni spontanee e dall’interesse crescente di collezionisti e professionisti del verde ornamentale.
Di seguito una rassegna dettagliata delle principali varietà oggi conosciute, distinguendo tra cultivar stabili e instabili, linee orticole diffuse e sport emergenti.

Le basi fisiologiche e genetiche della variegatura
La variegatura fogliare è un fenomeno che si manifesta visivamente con l’alternanza di tessuti verdi e privi di clorofilla. Tuttavia, dietro a questo effetto estetico si celano processi cellulari, genetici e fisiologici complessi, che coinvolgono la formazione dei tessuti vegetali, la regolazione genica e, in alcuni casi, la trasmissione clonale del tratto.
Il ruolo della clorofilla e dei plastidi
La clorofilla è un pigmento essenziale per la fotosintesi, contenuto nei cloroplasti (un tipo di plastidi). Le variegature si generano quando, per mutazione genetica o alterazione epigenetica, alcune cellule non riescono a produrre correttamente la clorofilla o i plastidi associati.
Le zone variegate risultano quindi:
Bianche o crema, se completamente prive di pigmenti fotosintetici.
Gialle o verde chiaro, in caso di clorofilla ridotta o parziale.
Queste cellule sono morfologicamente vive, ma metabolicamente meno attive, rendendo le piante variegate meno efficienti nella produzione di energia.
Le mutazioni chimeriche
Uno dei meccanismi più frequenti nella Monstera è la chimera genetica, in cui due o più linee cellulari geneticamente diverse coesistono nella stessa pianta. Queste linee si sviluppano in strati distinti del meristema (i tessuti embrionali che formano le nuove parti della pianta), noti come:
L1 (strato esterno) – coinvolge epidermide e margine fogliare.
L2 (strato intermedio) – forma la lamina fogliare e i tessuti interni.
L3 (strato profondo) – contribuisce al fusto e alla struttura vascolare.
A seconda di dove si verifica la mutazione, la variegatura può risultare:
Settoriale: se colpisce solo parte del meristema.
Periclinale: se coinvolge un intero strato (più stabile).
Mericlinale: instabile, perché parziale e non sistemica.
Retrotrasposoni e instabilità genetica
Alcune variegature, come quelle osservate in Thai Constellation, sembrano legate all’attivazione di retrotrasposoni, elementi mobili del DNA che alterano l’espressione genica. Questi frammenti possono silenziare o attivare geni associati alla produzione di clorofilla in modo imprevedibile, generando pattern mutevoli anche all’interno della stessa pianta.
La trasmissione della variegatura
La variegatura può essere trasmessa:
Per via vegetativa: tramite talee, divisione, margotta o coltura in vitro.
Solo se presente nei tessuti meristematici attivi.
Non è trasmissibile per seme, in quanto non ereditabile geneticamente in modo diretto (salvo casi eccezionali o ibridazioni molto avanzate).
Conseguenze fisiologiche per la pianta
Le piante variegate mostrano:
Crescita più lenta, per ridotta capacità fotosintetica.
Maggiore sensibilità alla luce intensa (le parti bianche si ustionano più facilmente).
Richiesta di condizioni ambientali stabili, per evitare regressioni o stress fisiologici.
Questo rende la loro coltivazione più complessa, ma anche più affascinante, proprio per il delicato equilibrio tra genetica, estetica e fisiologia.




Riconoscere le variegature autentiche: criteri botanici e segnali d’allarme
Con l’aumento dell’interesse per le Monstera variegate e la crescita esponenziale del mercato online, sono emersi anche numerosi casi di frodi o tentativi di “imitare” la variegatura tramite tecniche artificiali. Distinguere tra una variegatura autentica e una manipolata è essenziale per evitare acquisti errati e proteggere la biodiversità coltivata.
Cosa si intende per variegatura autentica
Una variegatura è considerata autentica quando deriva da una mutazione genetica (spontanea o selezionata) che coinvolge la produzione e distribuzione della clorofilla nelle cellule fogliari. Essa può essere:
Chimerica: due linee cellulari con diverso patrimonio genetico coesistono nella pianta.
A mosaico: mutazione somatica che colpisce una parte del meristema.
Settoriale: intere aree della foglia o del tessuto sono geneticamente acromatiche.
La variegatura autentica è interna al tessuto, visibile su entrambe le pagine della foglia e talvolta associata a variazioni nel picciolo, nel fusto o nel nodo.
Manipolazioni artificiali: tecniche e segnali
Alcuni venditori, in particolare online, possono tentare di simulare la variegatura attraverso metodi non etici. Le principali tecniche includono:
Pittura o candeggio della foglia
Uso di sostanze decoloranti o vernici.
La variegatura appare solo sulla superficie superiore della foglia.
Non segue le venature né rispetta la fisiologia della pianta.
Segnali d’allarme:
Colorazione troppo netta, opaca o con margini “duri”.
Nessuna variegatura visibile nella pagina inferiore.
Foglia che tende a seccarsi nel punto sbiancato.
Esposizione eccessiva alla luce (stress da luce)
In alcuni casi si tenta di indurre una pseudo-variegatura tramite esposizione solare o lampade.
Questo può causare clorosi localizzata o ustioni che imitano un pattern.
Segnali d’allarme:
Zone bianche o gialle associate a tessuto danneggiato.
Pattern non ripetibile, assente nelle nuove foglie.
Pianta visibilmente stressata.
Manipolazione digitale delle foto
Le immagini usate per la vendita vengono modificate per accentuare il variegato.
Segnali d’allarme:
Foto sovrasaturate o con foglie troppo brillanti.
Assenza di prove fotografiche della pianta intera.
Immagini diverse per foglie della stessa pianta.
Strategie per verificare l’autenticità
Richiedere immagini ravvicinate del nodo: solo i nodi contenenti tessuto variegato produrranno nuove foglie variegate.
Osservare la coerenza tra foglie: la variegatura autentica tende ad avere una distribuzione coerente tra le foglie (pur con variazioni naturali).
Controllare l’origine della pianta: piante ottenute da vivai affidabili, laboratori o propagatori noti hanno maggiore probabilità di essere autentiche.
Diffidare da prezzi troppo bassi o vendite non tracciabili: le variegature vere comportano tempi lunghi e costi elevati di coltivazione.


Cosa rende una pianta “da sottobosco”?
Stabilire con precisione cosa definisce una pianta da sottobosco richiede un criterio funzionale. Non basta sapere dove cresce, ma come vive. Un elemento chiave è il fatto che l’intero ciclo di vita della pianta avvenga sotto i 2–3 metri di altezza, incluse le fasi di fioritura e riproduzione.
Ad esempio, una palma che fiorisce a 1 metroe cresce fino a 8 metri può ancora essere considerata una specie del sottobosco, poiché la sua sessualità si manifesta vicino al suolo, anche se poi può raggiungere dimensioni maggiori.
Un caso emblematico è quello delle ninfee tropicali. Nei ruscelli ombrosi del sottobosco, alcune specie si propagano vegetativamente attraverso stoloni, formando tappeti densiperfettamente adattati al microclima forestale. Tuttavia, in queste condizioni, non sviluppano foglie galleggianti né fiori: rimangono in una forma “vegetativa permanente”, stabile ma non riproduttiva.
Solo quando crescono in zone più luminose, come stagni o corsi d’acqua aperti, le stesse piante possono espandersi, produrre grandi foglie galleggianti e fioriture sessuate. Questo dimostra che una stessa specie può esistere in due stati stabili, uno adattato all’ombra e l’altro alla luce. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, le piante da sottobosco completano l’intero ciclo vitale nella penombra, senza mai uscire da essa.
In questo senso, essere “da sottobosco” non è una condizione momentanea, ma un modo di esistere definito ecologicamente e morfologicamente, modellato dalla luce, dall’umidità, dalla struttura del terreno e dalla pazienza di adattarsi all’attesa.
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🌿 Erbe o arbusti? Una differenza sottile (e spesso invisibile)
Nel contesto del sottobosco tropicale, la distinzione tra erba e arbusto non è affatto semplice. L’unico vero criterio discriminante è anatomico, e riguarda la lignificazione del fusto: ovvero la produzione e il deposito di lignina, una sostanza che conferisce rigidità e resistenza meccanica alle pareti cellulari.
Negli arbusti, la lignina si organizza in fibre, aiuole o anelli continui di tessuto legnoso, rendendo il fusto solido e capace di resistere al vento o al peso proprio. Ma nel sottobosco, dove l’aria è immobile e il vento è pressoché assente, anche una pianta alta diversi metri può restare eretta senza lignificazione, semplicemente grazie al turgore idrico dei tessuti. L’acqua che riempie le cellule fornisce la rigidità necessaria per mantenere la posizione verticale.
Per questo motivo, nel sottobosco la distinzione tra erba e arbusto tende a sfumare, e spesso non ha grande valore funzionale. In un ambiente dove il problema meccanico è minimo, non servono tessuti legnosi per reggersi, e la selezione evolutiva ha privilegiato strutture leggere, modulari e facilmente rinnovabili.

🌿 Lo sapevi che…
Nel sottobosco tropicale possono esserci fino a 4000 piante in 1000 m²?
Mentre la chioma degli alberi è relativamente uniforme, il sottobosco ospita una biodiversità esplosiva. In aree umide e luminose, la densità vegetale può superare i 3000–4000 individui ogni 1000 m², contro i 5–7 grandi alberi nello stesso spazio.
Il rinnovo del fogliame: efficienza, non espansione
Una delle caratteristiche più peculiari delle piante da sottobosco è la loro strategia fogliare conservativa: per ogni foglia nuova che compare, una foglia vecchia cade. Il bilancio rimane stabile, e l’area fotosintetica della pianta non aumenta, ma si rinnova costantemente.
Questa strategia è l’opposto di quella degli alberi della chioma, che durante la loro vita aumentano progressivamente la superficie fogliare grazie alla crescita secondaria del fusto (attività cambiale) e alla formazione continua di nuovi rami. Nei grandi alberi, l’accrescimento fogliare è massimo nella fase giovanile, mentre invecchiando si riduce e viene compensato da una “potatura naturale”: la perdita dei rami più vecchi supera la nascita di nuovi.
Nel sottobosco, invece, la mancanza di lignificazione impedisce l’ispessimento dei fusti e la formazione di rami secondari. Tuttavia, alcune specie hanno trovato soluzioni alternative: diventano rampicanti o striscianti, e sviluppano nuove radici vicino alle foglie emergenti, garantendo a ogni segmento di fusto l’accesso indipendente a risorse idriche e minerali.
In pratica, ogni tratto di fusto diventa un individuo autosufficiente. Anche in caso di rottura del fusto principale, le parti staccate continuano a vivere e crescere autonomamente. È un modello vegetale decentralizzato, modulare, resiliente.
♻️ Eternamente giovani: la longevità senza tronco
Alcune piante del sottobosco adottano una strategia ancora più estrema: si rinnovano dalla base all’infinito, emettendo continuamente nuovi fusti. Ogni nuovo getto mette radici proprie, diventando parzialmente o totalmente indipendente. Il risultato è una pianta cespugliosa, in perenne stato di rinnovamento.
Questa modalità vegetativa le rende, almeno teoricamente, potenzialmente immortali: non esiste un singolo “tronco” la cui morte determina la fine della pianta, come accade invece per un albero.
A differenza di una sequoia che può vivere anche 4.000 anni ma che ha un ciclo vitale lineare, queste piante funzionano per cloni successivi, rigenerandosi continuamente, senza invecchiare.
La loro scomparsa avviene solo in seguito a cambiamenti ambientali drammatici, su scala climatica o geologica: lunghi periodi di siccità, trasformazione dell’ecosistema (es. da foresta umida a foresta decidua, o da foresta a savana), eventi eccezionali come incendi o disboscamenti massicci.
Questo tipo di adattamento ci mostra che nel sottobosco non vince chi cresce di più, ma chi rimane adattabile, flessibile, rigenerabile. È la longevità come resistenza, non come grandezza.
Cosa rappresentano le piante del sottobosco? Dimensioni, densità e dinamiche ecologiche
Contrasto tra chioma e sottobosco: uniformità contro diversità
Se confrontiamo lo strato della chioma degli alberi più alti con quello delle piante del sottobosco, il divario in termini di variabilità morfologica è impressionante. Nella chioma, le dimensioni delle corone sono relativamente omogenee: si va dai 5 ai 10 metri di diametro, fino ai 20 metri per specie giganti come le Mimosaceae, indipendentemente dal microambiente.
Nel sottobosco, invece, regna la diversità estrema. Le piante si adattano a pendii, pareti inclinate, tronchi caduti, rocce, anfratti, dando vita a una variabilità morfologica notevole, legata più al substrato e all’umidità che alla specie.
Anche in termini di densità, il confronto è eloquente.
In una porzione di 1000 m² di foresta tropicale:
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Si possono trovare 5–7 alberi con diametro >40 cm
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Circa 50 alberi con diametro di 10 cm
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E fino a 250 piccoli alberi
Nel sottobosco, invece, non esiste una regolarità simile. In zone favorevoli (come versanti umidi), si possono contare anche 3000–4000 individui per 1000 m². In altri casi, un solo individuo può ricoprire da solo 10 m², estendendosi vegetativamente. Le densità più elevate si registrano nei pressi di alberi giovani, che lasciano filtrare più luce.
Densità estrema e movimento fogliare: le reofite
Esistono biotopi dove la densità vegetale raggiunge limiti estremi, come nei corsi d’acqua con forte corrente. Qui crescono le piante reofite, capaci di vivere in ambienti saturi di umidità e soggetti a flussi d’acqua continui.
In questi ambienti, si possono registrare fino a 500 individui per metro quadro. Le foglie, immerse nell’acqua o mosse dalla corrente, si espongono in modo dinamico alla luce, aumentando di fatto la superficie fotosintetica effettiva rispetto a quella proiettata al suolo. Questo movimento continuo permette a queste specie di raggiungere altissimi livelli di produttività per superficie occupata.




Il viaggio nella giungla continua...
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